Onorevoli Colleghi! - La Corte costituzionale, con sentenza n. 238 del 9 luglio 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 224 del codice di procedura penale «nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei "casi" e nei "modi" dalla legge», affermando che nessun rilievo peritale di tal genere potrà essere disposto dal giudice fino a quando il legislatore non sarà intervenuto ad individuare i tipi di misure restrittive della libertà personale che possono essere disposte a fini processuali, nonché a precisare i casi e i modi in cui le stesse possono essere adottate.
      In altre parole, con la pronuncia n. 238 del 1996, la Corte ha vivamente sollecitato il legislatore ad intervenire con una disciplina positiva che, previa individuazione dei provvedimenti ritenuti necessari, tipizzi i casi e i modi in cui debbano essere eseguiti, secondo la duplice garanzia di legge e di giurisdizione!
      Trascorsi ben dieci anni dalla pronuncia in questione, si impone al Parlamento un intervento che finalmente traduca le indicazioni e i princìpi affermati dalla Corte costituzionale in norma di legge.
      Dal 1996, infatti, il silenzio del legislatore in materia ha reso inesperibili numerosi accertamenti indispensabili alle indagini e al processo penale. Tra tutti, prioritaria è l'introduzione del prelievo coattivo di materiale biologico finalizzato alle analisi del DNA: grazie al progresso della biologia e della genetica, oggi il test del DNA può essere definito come una formidabile fonte di prova, dotata di un elevatissimo grado di affidabilità, in grado di fornire - sulla base di un ridottissimo campione di tessuto o di liquido biologico - la precisa identificazione di un individuo.
      Il test del DNA può quindi contribuire a scagionare con certezza l'innocente, scongiurando terribili errori giudiziari, e può altresì fornire l'individuazione del colpevole, concretizzandosi al contempo in uno strumento attuale di giustizia e di garanzia, che sposa in pieno le parole dell'insigne giurista Gaetano Filangieri, secondo il quale «compito della procedura penale è quello di togliere quanto si possa all'innocente ogni spavento, al reo ogni speranza, ai giudici ogni arbitrio»!
      La proposta di legge, sotto questo primo profilo, intende colmare il vuoto normativo oggi esistente, rendendo esperibili i prelievi coattivi di materiale biologico dell'imputato e dell'indagato, onde eseguire il test del DNA, finalizzato all'individuazione del colpevole, grazie al confronto di tali risultanze con il materiale repertato sul luogo del delitto. Tutto ciò, nel pieno rispetto delle indicazioni della Consulta e delle norme costituzionali e, quindi, anzitutto dell'articolo 13, secondo comma, della Costituzione, che autorizza le restrizioni della libertà personale soltanto «per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».
      Se la pronuncia della Corte suggerisce al legislatore di operare una scelta positiva, che bilanci gli interessi delle indagini e del processo e la tutela delle libertà personali, la presente proposta di legge, ispirandosi ai più alti valori costituzionali e facendo propri gli strumenti più innovativi in campo medico e scientifico, non ha voluto sacrificare le libertà personali dei cittadini, la loro dignità e la sacralità della loro sfera corporale, neanche a fronte degli interessi del processo penale. Pertanto, si introduce la possibilità di effettuare il test del DNA utilizzando esclusivamente metodiche non invasive, nell'assoluto rispetto della dignità e del decoro della persona, assicurando al contempo le esigenze del processo e quelle del cittadino.
      La proposta in esame, infatti, prevede che, nel caso di delitti gravi, puniti con la pena dell'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, il giudice possa disporre il prelievo di materiale biologico dell'imputato o dell'indagato, al fine di procedere all'analisi del DNA e al confronto di dette risultanze con quelle emerse dalle tracce repertate sul luogo del delitto o su cose comunque pertinenti al reato. Onde evitare un eccesso di coercizione sul periziando e per tutelare al massimo la dignità e l'integrità della persona, la presente proposta di legge prevede che, qualora questi rifiuti di sottoporsi ad un ordinario prelievo ematico, il giudice possa comunque disporre il prelievo di materiale biologico, avvalendosi di tecniche non invasive, ma parimenti efficaci, quali i tamponi del cavo orale, di tessuti di desquamazione epiteliale nonché di liquidi biologici, metodi peraltro già ampiamente utilizzati in altri ordinamenti.
      La norma, quindi, non solo garantisce la tutela della dignità e dell'integrità fisica e morale della persona, ma riserva anche una particolare attenzione alle condizioni di sicurezza clinica e sanitaria, disponendo che il test possa essere effettuato solo all'interno di strutture pubbliche, da personale dotato di comprovata e specifica esperienza nel settore.
      L'articolo 3 completa poi il quadro, accennando alle metodiche e alle procedure di raccolta dei reperti di confronto, prevedendo l'emanazione di un regolamento ministeriale che disciplini le metodiche di apprensione e di conservazione del materiale biologico di confronto che, raccolto sul luogo del reato soltanto da determinati soggetti, dovrà risultare da verbale ed essere classificato in modo tale da rendere complete le garanzie cui la presente proposta di legge si ispira.
      L'articolo 5 della proposta di legge prevede invece un intervento che prende spunto dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, che se, da un lato, ha avuto il grande merito di colmare un evidente vuoto normativo in materia di tutela del diritto alla riservatezza (diritto riconosciuto in modo precettivo anche a livello costituzionale), dall'altro ha purtroppo palesato qualche lacuna nel disciplinare il trattamento dei dati personali clinici e non da parte di soggetti che, per finalità istituzionali, si trovano quotidianamente a contatto con persone a forte rischio di malattie infettive.
      È, infatti, noto a tutti (e ci si riferisce a episodi verificatisi frequentemente) come sistematicamente gli appartenenti alle Forze dell'ordine, nell'effettuare un arresto, una perquisizione o nell'atto di impedire la commissione di reati, vengono a stretto contatto con tossicodipendenti affetti da AIDS; o come personale medico e paramedico in adempimento del servizio (soprattutto di pronto soccorso) debba tempestivamente agire su soggetti a rischio.
      A tale proposito, l'articolo 5 della proposta di legge si ricollega, integrandone la generica ampiezza di intervento, all'articolo 24, comma 1, lettera e), del citato codice, ove è espressamente previsto che la comunicazione e il trattamento di dati personali sono consentiti senza l'obbligatoria notificazione alla Autorità garante qualora si debbano salvaguardare la vita e l'incolumità fisica dell'interessato o di un terzo.
      Accordando tale autorizzazione al personale delle Forze dell'ordine e ai medici e paramedici si realizzerebbe una concreta salvaguardia di beni di primaria importanza quali la loro incolumità personale e la vita individuale.
      Auspichiamo, quindi, come inizialmente detto, la più larga (se non addirittura unanime) condivisione della presente proposta di legge, espressione di finalità sociali e di sicurezza urgenti e non più procrastinabili.